Spunti per l’innovazione nell’ecosistema bellunese
di Sergio Maset e Luca Garavaglia
[Paper scritto per conto di UNCEM Veneto e pubblicato all’indirizzo: https://galprealpidolomiti.it/evento-il-governo-dellinnovazione-nelle-aree-montane/ ]
Abstract
Le aree montane non sono tutte uguali. Ci sono valli che si spopolano e altre che attirano nuovi residenti, territori in crisi e zone che riescono a reinventarsi. Questo lavoro parte proprio da qui: dall’idea che per rilanciare la montagna serva abbandonare le soluzioni uguali per tutti e puntare invece su scelte mirate, costruite sulle caratteristiche di ciascun contesto. L’innovazione può fare la differenza, ma solo se è guidata da una visione chiara, da alleanze tra attori pubblici e privati, e da una forte capacità di decidere. A partire dall’esperienza del Bellunese, il documento propone percorsi concreti per migliorare l’accessibilità, la qualità dei servizi, la capacità di attrarre nuovi abitanti e imprese. Attraverso esempi reali e riflessioni organizzative, invita a considerare l’innovazione come un processo collettivo, che nasce dal territorio e si nutre di collaborazione, adattamento e cura per il bene comune.
Dal mito del riequilibrio al governo delle differenze
Non esiste “la montagna” intesa come un unicum indifferenziato, ma un multiverso in cui convivono realtà differenti: le aree dello spopolamento accanto a quelle della crescita demografica; i territori in crisi economica o in declino produttivo accanto a quelli che hanno saputo rigenerarsi all’interno di sistemi produttivi locali in grado di reggere la sfida della competizione internazionale; aree a vocazione agricola accanto ad aree di sviluppo turistico e (perfino) industriale.
La presenza di realtà così differenziate deve indurre a riflettere attentamente sul legame tra reti infrastrutturali, opportunità di insediamenti produttivi, creazione di posti di lavoro, disponibilità di servizi terziari per le imprese e per i cittadini, e ripopolamento di quei territori alpini che presentano caratteristiche idonee. Gli sviluppi tecnologici nei settori delle ICT, della logistica, dei servizi digitali consentono di incidere significativamente sulle condizioni di perifericità geografica e funzionale che da sempre affliggono molte aree montane, ma allo stesso tempo si osserva una crescente concentrazione di abitanti, imprese e investimenti nelle aree urbane e in quelle più prossime alle reti infrastrutturali, aumentando il gap di attrattività tra queste e il resto del territorio.
Le scelte relative ai percorsi di sviluppo da intraprendere devono tenere conto del contesto competitivo, alla dimensione locale e d’area vasta, concentrando gli sforzi sui propri punti di forza e di specializzazione e selezionando con cura quali innovazioni e servizi produrre per rispondere a target specifici (“quali” imprese, “quali” nuovi residenti, “quali” visitatori, etc.). Occorre quindi avere piena coscienza delle condizioni di contesto, degli obiettivi desiderati, dei mezzi per raggiungerli, a pena di una dispersione delle risorse disponibili che non potrà che portare risultati insoddisfacenti.
Allo stesso tempo, con altrettanto realismo, va accettata l’idea che esistono zone nelle quali l’unica cosa da fare è lasciare che la wilderness faccia il suo corso. Insomma, il mito del “riequilibrio” territoriale, che tanta parte ha avuto nelle politiche di sviluppo degli ultimi decenni, andrebbe sottoposto -in questa prospettiva- ad attenta critica in nome dell’accettazione di uno sviluppo diseguale anche all’interno di ristrette aree contermini (come sono le valli alpine).
In parallelo una riflessione va spesa sul tema dell’accessibilità delle zone montane. Linee di comunicazione e modello urbanistico alpino costituiscono un tutt’uno, fanno parte di una stessa strategia di ridefinizione del ruolo della montagna, capace cioè di integrare attività produttive, funzioni urbane, attrazione turistica. Il punto è che per garantire tutti insieme questi obiettivi è necessario decidere quali aree rafforzare –per l’uso produttivo, residenziale, commerciale- e su quali intervenire per garantire l’attrattività turistica. La consapevolezza ambientalista contemporanea appare in grado di evitare che queste operazioni si trasformino in sfregi al paesaggio, ma al contempo ci vuole il coraggio di scegliere dove e come intervenire. Modi e strategie di realizzazione di ipotetiche nuove infrastrutture e servizi in aree alpine potrebbero costituire un banco di prova di questa rinnovata capacità di piano.
Riuscire a governare le differenze implica costruire agende per le aree montane che affrontino alcuni temi-chiave sui quali è necessaria una riflessione organizzata da parte delle intelligenze locali:
Programmazione strategica
I progetti territoriali devono consentire di avere una chiara visione e consapevolezza delle vocazioni, dei punti di forza e dei punti di debolezza delle rispettive aree territoriali. L’obiettivo che i vari soggetti di governo dovranno porsi è quello di sviluppare una vision su che tipo di montagna vuole essere la montagna, tenuto conto e in considerazione della varietà dei contesti territoriali differenti. All’interno di questo quadro, strategia di sviluppo e promozione del territorio costituiscono un tutt’uno, fanno parte di una stessa strategia di ridefinizione del ruolo della montagna, capace di integrare attività produttive, funzioni urbane, attrazione turistica. Si tratta di scelte che richiedono una conoscenza dei contesti territoriali e legittime nella misura in cui la selezione delle aree e delle priorità avviene con la partecipazione delle comunità locali al fine di far emergere interessi e posizioni. Richiedono però anche la capacità di decisione attraverso il governo dei processi rispetto agli obiettivi. In quest’area, innovare significa selezionare gli strumenti che meglio possono, in base alle condizioni e alle esigenze locali, consentire l’attivazione delle intelligenze e delle risorse presenti nel territorio, unendo le forze degli attori pubblici e di quelli privati su obiettivi condivisi: programmazione territoriale, regolamenti, piani strategici inclusivi, Living lab, partnership pubblico-privato, iniziative di comunità. Su tutto resta il punto di trovare un efficace equilibrio tra la partecipazione e la decisione in cui la prima non deve essere ridotta a mero esercizio pro forma mentre la seconda non può bloccarsi in una continua procrastinazione.
Programmazione di area vasta
Gli insediamenti produttivi, la domanda di servizi (pubblici e privati), le strutture commerciali, le infrastrutture di trasporto, ma anche le scelte residenziali degli abitanti e dei lavoratori sostanziano di fatto una rete materiale che non vede e non ragiona per confini. Ciò vale anche in un territorio in cui i confini amministrativi coincidono spesso con confini fisici. Un approccio alla programmazione del territorio incardinato sulla sostanziale legittimazione di un comune a rappresentarsi e ad agire come “isola” rispetto a ciò che lo circonda non consente quindi di fare i conti con un sistema economico e relazionale complesso e diffuso sul territorio. A questo si somma, nelle aree di montagna, un generale sottodimensionamento demografico dei comuni, e di conseguenza un ulteriore fattore di convenienza ad un approccio intercomunale in grado di consentire masse critiche più efficienti dal lato dell’erogazione dei servizi. Acquisiscono quindi un ruolo cruciale gli strumenti di governance in grado di operare a una dimensione d’area vasta (la Provincia in primis, le Unioni Montane), e in particolare la capacità dei differenti ambiti di regolazione di coordinarsi in maniera efficiente, senza creare duplicazioni e conflitti.
Modelli di fornitura dei servizi
Partenariato pubblico-privato significa attivazione congiunta per il raggiungimento di un interesse reciproco: il soddisfacimento di un bisogno della collettività rispetto al quale l’ente pubblico non è in grado di rispondere efficientemente attraverso un servizio che può invece essere fornito da o con la collaborazione di un privato (sia esso un soggetto profit o no-profit), il quale a sua volta trova in tale attività equa remunerazione per il proprio investimento o copertura delle spese. Da un punto di vista economico va comunque sottolineato che un’equa remunerazione è tendenzialmente possibile solo aggregando la domanda, programmando il servizio su bacini di utenza ampi e sfruttando le opportunità delle economie di piattaforma che consentono di sviluppare concrete iniziative di sharing economy. E proprio sul tema della sharing economy, le nuove tecnologie (a partire dalle app per smartphone) rendono disponibili strumenti per coinvolgere i cittadini e le comunità nella produzione di servizi essenziali: relativi alla mobilità, ai servizi per le famiglie e per gli anziani, ma anche al turismo e alla tutela ambientale. Realizzare queste possibilità implica che le Pubbliche Amministrazioni assumano un atteggiamento aperto, rinunciando alla pretesa di “far tutto da sole” e rimuovendo i paletti ideologici e procedurali al coinvolgimento di soggetti privati nella progettazione e nell’erogazione dei servizi.
Ecosistema per la competitività
Per rispondere alla domanda di competitività, vanno create le condizioni perché le aziende possano nascere, svilupparsi confrontarsi a livello globale, creando un ambiente favorevole all’imprenditorialità, rimuovendo le barriere burocratiche, supportando l’impresa nelle fasi cruciali del suo ciclo di vita, garantendo un’elevata qualità dei servizi. La sfida è quella di individuare le priorità negli investimenti sui beni collettivi per la competitività da rendere disponibili nel territorio e nelle infrastrutture (viarie e digitali) da realizzare: un’operazione che deve necessariamente essere svolta in stretto contatto tra le amministrazioni, ai diversi livelli di governo, e le parti sociali, con l’obiettivo di coordinare le iniziative realizzate dai differenti attori creando un “ecosistema” economico efficiente e integrato.
Paradossi apparenti e concrete trasformazioni
Come sempre la difficoltà non sta tanto nell’individuare i principi generali, per quanto di senso e contro corrente, quanto piuttosto nel creare un concreto contesto di azione. Un aiuto in questa direzione può arrivare dall’affrontare alcuni apparenti paradossi osservandoli da una prospettiva inedita, facendo emergere anche differenti priorità.
Il primo elemento da considerare è che, anche a fronte di una popolazione stabile o calante, aumenta il numero di nuclei familiari e dunque anche la richiesta di alloggi, aumentano la domanda di mobilità e di servizi di trasporto, si accresce la pressione sui servizi pubblici di cura e assistenza, aumenta la pressione demografica in alcune aree a scapito di altre.
Andamento della popolazione residente nelle Province del Veneto, 1971-2021

Elaborazione IDEA su dati Istat
Dimensioni dei nuclei familiari nella Provincia di Belluno, 1991-2021

Elaborazione IDEA su dati Istat
Questi fenomeni sono dovuto a processi strettamente sociali. La popolazione oggi esprime maggiore attenzione riguardo all’accessibilità ai servizi, a quelli pubblici e a quelli privati; gravita meno su reti familiari, e più su reti sociali (amicali, di relazione) e richiede servizi di vicinato. Sono dinamiche che attraggono la popolazione verso contesti di maggiore densità. molto più che in passato. Il dato è evidente osservando la mappa che riporta i saldi migratori intraprovinciali, dove i comuni con i colori più accesi sono quelli che attraggono popolazione dalle altre aree. Sono comuni che, nel contesto provinciale, assommano sia la maggiore densità di attività produttive che la maggiore densità di servizi di rango urbano.
Saldi Migratori Intra Provinciali (2021)

Elaborazione IDEA su dati Istat
Dunque, anche in un contesto relativamente contenuto e tendenzialmente caratterizzato da un calo demografico, si individuano dinamiche assai differenti. Basti qui pensare al fatto che il sistema urbano di Belluno (qui definito semplicemente come l’insieme dei comuni i cui centri distano meno di 15 minuti di auto dal capoluogo provinciale) ha raggiunto nell’ultimo decennio il massimo di popolazione dall’Unità ad oggi.
Popolazione residente a Belluno e nei comuni prossimi

Elaborazione IDEA su dati Istat
Ecco dunque la prima conclusione: le famiglie sono più piccole, sono in numero maggiore e tendono a concentrarsi dove l’offerta occupazionale e i servizi le attraggono facendo con ciò aumentare la domanda di abitazioni in determinate zone e non in altre. Rispondere alla domanda di residenzialità è centrale in chiave strategica perché è il primo passo per consolidare e concretizzare l’attrattività del territorio. Una mancata risposta a questa domanda ben difficilmente porterebbe ad un riequilibrio territoriale nel contesto montano: più probabilmente comporterebbe un ulteriore allontanamento. Dunque, un primo punto di partenza è quello di provvedere a sviluppare appieno una capacità attrattiva che sembra decisamente meno drammatica di quanto si tenda spesso a dipingere, quanto meno se rapportata al contesto regionale. Infatti, anche il tema dell’attrattività sembra assumere i connotati di un paradosso.
Nel 2024, la provincia di Belluno appare tutt’altro che in posizione debole quanto a saldi migratori se confrontata con le altre province della regione. Anzi, è la provincia maggiormente attrattiva una volta relativizzati i saldi alla dimensione demografica.
Saldi migratori nelle Province del Veneto, 2024

Elaborazione IDEA su dati Istat
Il problema, va detto, sta piuttosto nel fatto di essere la provincia più attrattiva in una regione che invece è decisamente meno attrattiva sul piano occupazionale rispetto ad altre regioni limitrofe. Si considerino i saldi migratori sotto riportati dai quali emerge chiaramente la posizione intermedia del Veneto, staccata da Emilia Romagna e Piemonte, quest’ultimo in netta crescita negli ultimi anni quanto a saldi migratori interni, passando dalla 12° posizione nel 2016 alla 2° nel 2024.
Saldi migratori regionali rapportati alla popolazione residente, 2024

Elaborazione IDEA su dati Istat
Ranking dei saldi migratori regionali rapportati alla popolazione residente, 2016-2024

Elaborazione IDEA su dati Istat
Se l’attrattività fa leva in primis sulle condizioni di offerta dal sistema produttivo, cambiando prospettiva la domanda diventa come consolidare questo potenziale in una concreta occasione di crescita. Ciò richiede capacità di intervenire sui servizi che incidono sulla qualità della vita, in primo luogo la residenzialità. A questa domanda abitativa è possibile rispondere con il richiamo alla tradizione, magari nella forma dei piccoli borghi di case sparse? Si può rispondere sì, ma in questo caso vanno accettate le inevitabili conseguenze sul territorio, a partire dalla percezione di intasamento e di saturazione, e inoltre i costi pubblici per garantire standard di servizio adeguati. Tutto questo sempre a condizione che le persone siano effettivamente interessate a trasferirvisi. Se invece si risponde di no, allora si può cominciare a riflettere su criteri diversi per orientare la costruzione dei nuovi quartieri residenziali e rispondere alla richiesta di abitazioni di piccole dimensioni, di alloggi (in particolare in affitto, per periodi inizialmente non lunghi) in aree vicine al luogo di lavoro e ai servizi di mobilità, di alloggi nelle principali aree urbane e prossimi ai servizi per la persona. In altre parole: densificare i centri storici, aumentare il numero di abitazioni sul mercato, aumentare l’offerta di abitazioni di dimensioni contenute.
Andamento degli addetti nelle Province del Veneto, 2015-2022

Elaborazione IDEA su dati Istat
Veniamo dunque ad un terzo paradosso relativo agli spazi della produzione. L’idea che si possa farne a meno appare curiosa considerando l’aumento del numero degli addetti nel Bellunese (2019-2022): +1.327. Eppure fa parte dell’esperienza quotidiana di chi abita in questo territorio la vista dei cartelli “vendesi” o “affittasi” appesi ai muri dei capannoni. Offerte che non richiamano interesse, perché oggi molte aziende sono alla ricerca di spazi coperti di dimensioni molto più grandi. La spiegazione sta nelle distorsioni informative che anche in questo caso arrivano agli operatori. Si è ripetuto all’infinito che la piccola impresa e il lavoro autonomo erano il motore dello sviluppo locale e che questo tipo di sviluppo poteva avvenire in qualsiasi parte del territorio. Gli operatori economici si sono fidati e hanno costruito a ogni piè sospinto aree artigianali e piccoli opifici di taglia inferiore ai 5.000 mq., spesso divisi al loro interno in unità di 500-1.000 mq. Con la conseguenza che oggi ci sono, allo stesso tempo, troppi e troppo pochi capannoni. Troppi di piccole dimensioni, in aree asfittiche, in posizioni geografiche marginali; troppo pochi di grandi dimensioni, con un qualche valore architettonico, vicini ai nodi strategici, in aree attrezzate sotto il profilo logistico e infrastrutturale. La spiegazione più piana di quanto sta accadendo è che il sistema produttivo sta reagendo meglio del previsto agli stimoli esogeni, vale a dire che si sta internazionalizzando più velocemente, con minori difficoltà rispetto a quanto immaginato da tanti osservatori, e segue delle razionalità legate all’accessibilità, alla possibilità di futuri sviluppi, alla attrattività per collaboratori e dipendenti.
Aree industriali e addetti alla manifattura in provincia di Belluno

Elaborazione IDEA su dati Istat e Corinne Land Cover
Se una nuova sede aziendale non è più solo un capannone, ma il primo canale di dialogo con le comunità con cui l’impresa entra in contatto, ecco nascere il bisogno di un diverso modo di concepire lo spazio di lavoro. All’esterno, ma anche all’interno, con una attenzione mai sperimentata prima in modo così diffuso alle esigenze delle comunità di lavoratori che in questi spazi devono trascorrere larga parte della giornata.
Osservando dunque la mappa soprastante appare evidente la concentrazione di edifici produttivi alla manifattura lungo l’asse che da Feltre muove orizzontalmente verso Ponte nelle Alpi, con le due propaggini di Alpago e Longarone. Su questo asse, dove si concentra la maggior parte della struttura produttiva della provincia, su cui devono spostarsi sia persone che merci, ciò che emerge sono i colli di bottiglia per raggiungere rapidamente le arterie principali: a est, la A27; verso ovest la Valsugana e il Brennero; verso sud, la Superstrada Pedemontana. Consolidare l’attrattività produttiva della provincia significa prima di tutto risolvere in questo asse i colli di bottiglia per una viabilità veloce e sicura e garantire abitazioni e servizi alla popolazione.
Radicalmente differente è invece il contesto insediativo a nord di questo asse. Qui il sistema insediativo e produttivo appare più rarefatto e contenuto, nonché, come ben noto, più lontano dalle reti viarie autostradali. Ora, un intervento di tipo autostradale su questo asse, in chiave funzionale allo sviluppo produttivo, richiede di riprogettare congruentemente l’assetto urbanistico del territorio, con i limiti e i condizionamenti del collocarsi in valle, con limitati spazi e dove anche la sola infrastruttura creerebbe una modifica radicale e conseguente snaturamento dell’aspetto. Il rischio è quello che l’infrastruttura vada a servire solo ciò che è presente in misura molto limitata – le aree produttive nelle parti più alte – senza disporre di concrete possibilità di sviluppo ulteriore di aree produttive.
Cambiando invece prospettiva e focalizzandosi sull’obiettivo dell’accessibilità al territorio alpino e dolomitico per la sua fruibilità turistica, l’idea di una infrastruttura autostradale concepita per un traffico massivo e veloce, oltre a modificare il territorio, presenta crescenti questioni di congruenza rispetto agli obiettivi di riduzione dei transiti stradali sui passi così come degli attraversamenti dei centri abitati. In questa prospettiva andrebbe considerato come rispondere ad una domanda di mobilità che potrebbe essere maggiormente organizzata e regolata attraverso servizi e infrastrutture di trasporto passeggeri piuttosto che sistemi autostradali per il transito veicolare, con lo scopo di regolare e contenere le esternalità di fenomeni di overturism e allo stesso tempo di salvaguardare il valore di bene posizionale (Hirsch,1976) delle Dolomiti.
Innovazione e adattamenti per vivere meglio
I processi (e i paradossi) che sono stati sopra brevemente richiamati rendono più stringente la ricerca di nuovi punti di equilibrio e di sostenibilità proprio in contesti caratterizzati da bassa densità di popolazione. In queste zone garantire servizi collettivi a condizioni sostenibili risulta particolarmente complesso, con in più l’aggravio che tutto ciò che interviene come processo trasformativo risulta nel bene e nel male immediatamente più evidente. Facendo i conti con questi condizionamenti nella sostenibilità e nella capacità di governo, la sfida è quella di riuscire a consolidare i potenziali di crescita attivati sia dall’economia che, in prospettiva, dell’accresciuto valore dei contesti montani a fronte delle modifiche climatiche in atto. Ciò richiede non solo di intervenire sull’attrattività del sistema produttivo ma anche di garantire qualità del vivere nella dimensione più ampia.
Le aree montane risultano particolarmente sensibili a queste sfide e come tali si configurano come contesti entro i quali sviluppare forme innovative di design dei servizi pubblici e di interesse generale. Si pensi ad esempio ai servizi della pubblica amministrazione, ai servizi sanitari e a quelli sociali, al trasporto pubblico locale, all’istruzione etc. per i quali l’implementazione delle tecnologie unitamente a interventi sul piano regolatorio possono realizzare concreti miglioramenti nella qualità della vita delle persone e nell’attrattività del territorio.
| Esperimenti di innovazione nelle aree di montagna |
| Servizi commerciali: Progetto “Linfa” (Val Trompia e Val Sabbia– Lombardia). Avviato nel 2019 grazie ai finanziamenti del programma AttivAree di Fondazione Cariplo, il progetto ha realizzato una piattaforma informatica (una app per smartphone) che permetteva ai cittadini di acquistare online beni (alimentari, medicinali) e servizi (prestazioni mediche e di welfare) offerti nel territorio, direttamente o tramite accordi di welfare aziendale, prevedendo la consegna a domicilio o in negozi di vicinato attrezzati con totem per fungere anche da punti di ordine (i gestori dei punti di consegna ricevevano una percentuale del prezzo degli ordini). Il sistema era gestito da una cooperativa con sei addetti, che effettuava anche le consegne postali nell’area. La cooperativa operava in rete con i negozianti (fatti oggetto di una attenta campagna di sensibilizzazione) e con le Comunità Montane, che , hanno avuto un ruolo fondamentale per la diffusione delle attività, in particolare nel periodo della pandemia di Covid-19. Il servizio dopo la fase di start-up era in grado di auto-sostenersi economicamente, ma si è interrotto nel 2022 a causa del fallimento dell’ente no-profit che aveva il controllo della cooperativa erogatrice. |
| Servizi di mobilità: Progetto “Contrasporto” (Langhe, Piemonte). Servizio di mobilità basato sullo sharing e sul servizio a chiamata dedicato alle aree a bassa densità abitativa, organizzato da un ente no profit. Prevede l’uso di mezzi privati (sulla base di accordi con i proprietari: in particolare utilizzando auto e furgoni di imprese e associazioni e da esse non impiegati durante la settimana o il weekend) o di proprietà dei comuni, che contribuiscono alla gestione economica del servizio (che per gli utenti risulta più caro del TPL ma assai più conveniente di un taxi. Il servizio richiede un’iscrizione da parte degli utilizzatori, in modo da evitare le complessità legate alla fornitura di un servizio di mobilità pubblico, e gli autisti sono inquadrati in una cooperativa di lavoro (anche per loro non sono richieste patenti professionali). Il servizio è in fase di sperimentazione nelle Langhe dal dicembre 2024. |
| Residenzialità: “Piano di rigenerazione urbana” (Comune di Castel del Giudice, Molise). Nel 2014 il Comune ha fondato una STU (società di trasformazione urbana) insieme a due soci privati, e ha avviato una mappatura e un esproprio dei fienili e delle stalle abbandonati nel centro storico, in cui è stato realizzato un albergo diffuso. Nel 2024, per rispondere ai problemi di abbandono delle case (chi vorrebbe trasferirsi a Castel del Giudice, dato che ci sono possibilità di lavoro, non trova abitazioni in vendita) il comune ha fatto un regolamento comunale che ha l’obiettivo finale di riqualificare gli spazi pubblici, di rimodernare le abitazioni private da destinare a affitto e vendita tramite accesso dei proprietari a bonus fiscali e di acquisire le abitazioni private e le ex case IACP non utilizzate per insediarvi servizi per i cittadini e per realizzare nuovi spazi abitativi. Questa iniziativa, realizzata in parallelo a interventi dedicati a rafforzare la vocazione agricola del territorio (tra cui la realizzazione di una società agricola di comunità e di un Apiario di Comunità) ha consentito di attrarre nuovi residenti, contrastando i processi di spopolamento in atto da lungo tempo nel Comune. |
| Sistemi idrogeologici: progetto “SUMMER” (Valle d’Orco, Piemonte). Progetto del Politecnico di Torino in fase di sperimentazione in Valle d’Orco: prevede di realizzare il monitoraggio dei dati pluviametrici e climatici tramite sensori diffusi nel territorio e lo sviluppo di un “digital twin” del bacino idrografico che consenta di prevedere la quantità delle risorse idriche disponibili per l’uso energetico, agricolo e civile, ottimizzandone l’utilizzo, nonché di stimare i fabbisogni energetici degli edifici e di prevedere le situazioni di allarme idrogeologico. Tutte le installazioni sono state realizzate in accordo con i comuni e le comunità montane, e i dati prodotti sono pubblici e liberamente accessibili: a regime, il sistema consentirà di informare in tempo reale chi gestisce i sistemi delle acque, la protezione civile, i policy-maker locali. |
| Lavoro: progetto FAMI “Buona terra” (Comune di Saluzzo, Piemonte): il progetto, realizzato nell’ambito del programma Interreg Alcotra,nasce per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori agricoli stagionali, prevenendo situazioni di sfruttamento. “Buona terra” promuove un nuovo modello di convivenza nel quale la presenza dei lavoratori stranieri abbia un impatto positivo sulla vita delle comunità locali. Il progetto ha previsto la realizzazione di un punto di accesso unico ai servizi di informazione e primo orientamento per i lavoratori, iniziative per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro (con una apposita piattaforma online) e per supportare l’accoglienza abitativa dei lavoratori stagionali, la costituzione di una “Rete del lavoro agricolo di qualità” per diffondere comportamenti virtuosi da parte delle aziende agricole. nell’accoglienza abitativa e nell’inserimento lavorativo. |
Un approccio organizzativo all’innovazione dei sistemi locali
Anche se spesso viene considerata come un processo spontaneo e creativo, l’innovazione non è solo colpo di genio, ma si costruisce all’interno di dinamiche strutturate e complesse, in cui sono molto importanti non solo le conoscenze e le capacità personali ma anche i fattori territoriali e quelli organizzativi. La ricerca pura, che si effettua nelle Università e nei Centri di ricerca, è solo un punto di partenza, che per diventare vera innovazione deve trovare un terreno adeguato nelle persone e nelle imprese e nelle istituzioni, all’interno di un contesto che favorisca il cambiamento. Perché innovare significa sempre gestire la contemporanea evoluzione di più dimensioni interconnesse: non solo il “nuovo” prodotto o il “nuovo” servizio, ma anche i cambiamenti nei suoi fruitori, nei sistemi delle relazioni e delle conoscenze, nella cultura e nei valori organizzativi. Raramente l’innovazione colpisce una sola di queste dimensioni senza considerare le altre, e ancor più raramente si limita a interessare una singola organizzazione: è un processo che si organizza invece a scala locale, all’interno di sistemi di conoscenze disponibili solo in uno specifico territorio.
La natura relazionale-organizzativa dell’innovazione è ben evidenziata nel cosiddetto modello della “tripla elica” (Leydersdorff & Etzkovitz, 1996), che evidenzia come le collaborazioni e gli scambi di conoscenze tra centri di ricerca (produttori di conoscenze), imprese (applicatori di conoscenze) e pubbliche amministrazioni (soggetti regolatori) possano costruire, in un dato territorio, un contesto favorevole allo sviluppo di innovazione. E’ quanto accade nei parchi scientifici, ma anche negli esperimenti innovativi di sharing economy descritti nel precedente paragrafo, come il progetto “Linfa” o il progetto “Contrasporto”.
L’innovazione, insomma, si realizza sempre in rete: una “rete d’azione” (Posander, 2005) in cui operano attori indipendenti e differenti, influenzandosi reciprocamente. Eppure, il tema della costruzione sociale dell’innovazione è spesso poco considerato e non governato: i sistemi locali faticano, per carenza sia di risorse che di visione, a strutturare strategie che uniscano le forze delle istituzioni e degli attori privati per rafforzare la capacità innovativa del territorio. Questa considerazione vale anche, e soprattutto, per le innovazioni dei sistemi di governance, che se esaminate da una prospettiva organizzativa non differiscono affatto dalle innovazioni di natura tecnologica o sociale: l’introduzione di un nuovo soggetto regolatore o la definizione di nuovi strumenti decisionali o operativi difficilmente possono produrre risultati efficienti se non comportano adeguate modifiche nelle prassi e nelle modalità d’azione di tutti i soggetti operanti nella rete.
Secondo la letteratura degli studi organizzativi, le forme di innovazione dei processi o della governance dei sistemi locali sono quelle delle “reti a centri di gravità multipli” (Butera, 1999), che implicano il lavoro comune degli attori per concordare entità, forme, limiti e scopi dell’azione. Si tratta di reti complesse e non facilmente agite, in cui la regolazione deve ammettere un certo livello di inefficienza (se confrontate per esempio con i sistemi “a leadership unica” in cui un solo soggetto è in grado di realizzare le azioni e garantire i risultati). Ciò non significa si debbano accettare gli altissimi tassi di inefficienza di tante politiche per l’innovazione dei sistemi locali: bisogna invece puntare a una progettazione che tenga conto delle loro specificità organizzative e delle loro necessità di regolazione, che sono quelle delle reti. Per incrementare l’efficienza del sistema e la sua capacità di agire, si può invece intervenire su criticità di regolazione tipiche delle reti organizzative, a partire da quella relativa alla capacità di attivare tutte le risorse e le conoscenze necessarie all’innovazione: una rete organizzativa è efficiente quando riesce a dare piena attivazione e valorizzazione alle risorse disponibili.
Nel caso dei sistemi locali queste risorse sono sempre molteplici, e disperse tra diversi soggetti (che rappresentano diversi punti di vista sui problemi che si intende risolvere): il ruolo dell’attore pubblico è fondamentale nel garantire forme di governance inclusive che riescano ad individuare e ad attivare tutte le intelligenze necessarie per comprendere le dinamiche in atto e per costruire forme efficaci di azione collettiva.
Un secondo elemento sensibile nell’organizzazione efficiente delle reti complesse è relativo alle modalità di circolazione dell’informazione e della conoscenza, che presentano ampi problemi di frammentazione. Mentre nei sistemi integrati verticalmente quali le grandi imprese o le amministrazioni pubbliche la presenza di una struttura gerarchica definita e di procedure dedicate alla circolazione di informazione consentono di esercitare un buon livello di controllo sui sistemi informativi, nei sistemi locali l’organizzazione spesso circola in modo meno ordinato, non tutti i canali informativi sono interconnessi e tra gli attori vi sono forti asimmetrie riguardo all’accesso all’informazione. Diventa quindi fondamentale la capacità della rete locale di definire un clima orientato allo scambio, e di mettere a disposizione spazi e strumenti che consentano una ampia e trasparente circolazione dell’informazione. Anche in questo caso ai fini dell’efficienza della rete è cruciale il ruolo delle istituzioni pubbliche locali che hanno responsabilità di governo (anche parziale) del sistema
Un’ulteriore area di criticità dei sistemi a rete – e in particolare delle reti di governance delle località – riguarda il coordinamento tra i differenti attori. Si tratta di un problema ampiamente sottostimato e spesso frainteso. In situazioni di risorse o competenze frammentate, i vantaggi derivanti dal coordinamento sono facilmente individuabili (Moore, 1996): migliore informazione, economie di scala prodotte dall’aggregazione delle risorse disponibili, sinergie tra le competenze dei singoli partecipanti, riduzione degli interventi ridondanti, creazione di capitale sociale, aumento della capacità di innovare. Gli effetti benefici del coordinamento sono così evidenti che il coordinamento stesso viene tante volte dato per scontato e appare facilmente raggiungibile con strumenti semplici, di solito riconducibili alla messa in condivisione delle informazioni disponibili. Ma da solo lo scambio informativo non permette nessun adeguamento dell’agenda e delle modalità operative delle organizzazioni appartenenti alla rete: in assenza di una revisione delle agende che sia effettuata concordemente da tutti gli attori connessi, la rete si troverà a rappresentare nulla più che un nuovo mezzo per realizzare i fini già propri delle organizzazioni aderenti, piuttosto che come uno strumento organizzativo che le abiliti a riconfigurarsi per perseguire strategie nuove.
Questo rischio si presenta in particolare quando partecipano alla rete organizzazioni a modello autarchico (ad esempio amministrazioni pubbliche o grandi imprese), in cui i processi decisionali e operativi sono strettamente standardizzati (Garavaglia, 2017): temendo di perdere autonomia decisionale o di sprecare risorse che potrebbero essere impiegate direttamente, le organizzazioni esprimono una serie di resistenze più o meno esplicite all’attribuzione di risorse in capo a strutture decisionali esterne al proprio organigramma. Queste resistenze sono spesso causa del fallimento del coordinamento inter-organizzativo, specie nei casi in cui i processi vengono avviati da amministrazioni pubbliche su direttiva della dirigenza politica, con l’assunto implicito che il processo di implementazione dovrà essere eseguito dalle strutture amministrative, senza che ad esso sia abbinata una riorganizzazione delle prassi, delle strutture e del lavoro.
Nella realtà della vita delle reti per l’innovazione, la collaborazione tra differenti attori è soprattutto una questione di “artigianato istituzionale” (Bardach, 1998), che si compie in assenza di procedure date, per tentativi, scontrandosi con innumerevoli ostacoli imprevisti e valutando volta per volta il feedback delle azioni realizzate. Si tratta di processi complessi, che richiedono tempo e impegno oltre a una certa dose di creatività. I costi del coordinamento possono essere alti. Certamente sono alti anche i costi del mancato coordinamento, in termini di efficienza e di perdita di opportunità per lo sviluppo del sistema.
Spunti per l’innovazione nell’ecosistema bellunese
Anche nei contesti di piccola scala vi possono essere processi di innovazione originali e sviluppo di economia della conoscenza, a condizione di non cadere nella tentazione di replicare velleitariamente modelli di sviluppo metropolitani. Si tratta piuttosto di importare tecnologie originariamente sviluppate per altri contesti adattandole alle specifiche esigenze dei luoghi. In particolare, l’approccio che pare più concreto è quello del trasferimento adattativo (tramite il c.d. “leapfrogging”) di tecnologie e metodologie per l’innovazione sociale e i servizi pubblici sviluppate in altri contesti, accompagnato ad un rigoroso governo del processo. Il termine Leapfrogging – letteralmente «salire sulle spalle e farsi portare a spasso» si riferisce alla possibilità per paesi o regioni di “saltare” fasi intermedie di sviluppo adottando direttamente tecnologie avanzate. Per le comunità meno dense o periferiche, l’innovazione può essere stimolata attraverso: adattamento contestuale, ovvero personalizzare le tecnologie esistenti per rispondere alle esigenze locali; collaborazioni locali, favorendo reti tra imprese, istituzioni e cittadini per condividere conoscenze e risorse; politiche mirate, per implementare strategie di specializzazione intelligente valorizzando le risorse e competenze locali.
Per fronteggiare le complessità dei processi decisionali e i condizionamenti delle dimensioni di scala, vi sono alcuni elementi di metodo che possono essere evidenziati:
- Un fortissimo orientamento alla funzionalità come obiettivo in sé degli interventi di innovazione nei servizi: ciò richiede monitoraggio continuo del processo e dei risultati;
- Puntare all’eccellenza di servizio nei beni collettivi: ricorrere ai migliori standard e adattarli in chiave di migliore risposta al contesto;
- Stressare la relazione con le reti innovative e tecnologiche provocando, non attendendo, la spinta allo sviluppo;
- Individuare e intervenire sui sistemi regolamentari che incidono sull’obiettivo (es. standard abitativi, contratti, ecc.);
Oltre a questi elementi di metodo, si richiamano gli elementi di policy sopra affrontati, funzionali al consolidamento dell’attrattività dei sistemi territoriali del Bellunese:
- Adeguare la viabilità veloce al sistema insediativo e produttivo posto tra l’asse A27 e la Valsugana;
- Densificare i centri urbani, riqualificando le parti storiche e sviluppando l’offerta residenziale congruentemente con la domanda e le prevedibili evoluzioni;
- Governare le infrastrutture di mobilità a servizio dell’economia turistica in modo da valorizzare la destinazione dolomitica come bene posizionale.
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