UN GOVERNO PER LA RIFORMA FEDERALISTA

[di Sergio Maset

Articolo pubblicato su La Tribuna di Treviso, La Nuova Venezia, Il Mattino di Padova il 6 marzo 2018]

La rappresentazione geografica dei risultati di quest’ultima elezione ci restituisce una fotografia in cui il fattore davvero prevalente è il dualismo Nord-Sud, con da una parte un Nord a trazione Lega “nazionale” di Salvini – un partito che poco ricorda la Lega Nord – e dall’altra un Sud pentastellato costruito su promesse di strepitoso assistenzialismo (reddito di cittadinanza e via discorrendo). A perdere, inutile a dirlo, i due partiti più certamente nazionali (Forza Italia e il Partito Democratico), avulsi per tradizione sia da narrazioni fortemente localiste che nazionaliste.

Una lettura non convenzionale dovrebbe tuttavia suggerirci che l’affermazione dei Cinque Stelle è indebolita potenzialmente e forse irrimediabilmente dalla sua geografia. In Italia un partito del Sud costruito sulle promesse di una economia di assistenza non è credibile rispetto ad un qualsivoglia obiettivo di sviluppo del paese né, tanto meno, è sostenibile per la finanza pubblica. E lo è ancor meno di quanto lo sia un partito del Nord. Ciò è vero per una ragione molto semplice: tanto più un partito del Sud preme dal punto di vista elettorale in quanto bacino di voti, tanto più si indebolisce, perché rianima un’istanza – che diviene a quel punto separatista – del Nord. Mentre all’autonomia del Nord fa da contraltare la richiesta di perequazione a favore del Sud, richiesta finora sempre rispettata, un rinforzo delle istanze assistenzialiste del Sud genererebbe oggi una irrimediabile chiusura da parte del Nord.

L’unica reale risorsa politica che mi pare emergere in questo scenario è costituita dal processo di riforma autonomista attuato in questi ultimi mesi dalle tre regioni Veneto, Emilia Romagna e Lombardia. Ed è l’unica perché è quella che realisticamente può porre un limite al rischio di allargare ulteriormente il solco tra Nord e Sud, senza peraltro cadere in una retorica neo unitaria (“il noi Italiani”) costruita su di un insostenibile isolazionismo verso l’esterno, alla Trump o alla Brexit, per intenderci, che ben poco interessa alle imprese e ai lavoratori.

In questa prospettiva c’è da domandarsi se l’opzione sostenibile non sia un governo di scopo da costruirsi intorno ad un programma di attuazione del disegno autonomista regionale sulla base della piattaforma a cui sono giunte Veneto, Emilia Romagna e Lombardia. Tre regioni di tradizione e cultura politica ben distinta accomunate dal fatto di essere il motore economico del paese, e interessate a realizzare l’autonomia come strategia per rispondere più efficacemente ad obiettivi di competitività economica globale: da sole, è bene ricordarlo, realizzano il 55% del valore dell’export nazionale.

L’opzione alternativa tratteggia foschi scenari, in cui Governi deboli lascerebbero mano libera non tanto alle derive populiste quanto all’alta burocrazia del Paese, attribuendo di fatto a questa il ruolo di garante della salvaguardia delle sue finanze e della sua unità. Un incubo in cui la rappresentanza generale è rassegnata al governo di una tecnocrazia grigia e gattopardesca.